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L’arrivo del cacao in Europa e la sua diffusione – parte 1

Abbiamo lasciato il “povero” re Montezuma II a dare il benvenuto a Hernàn Cortes convinto di trovarsi invece al cospetto del Dio Quatzacoatl. Cortès,

Abbiamo lasciato il “povero” re Montezuma II a dare il benvenuto a Hernàn Cortes convinto di trovarsi invece al cospetto del Dio Quatzacoatl. Cortès, ovviamente, si guardò bene dal farlo ricredere e si lasciò coprire di oro e pietre preziose. Fu alloggiato nel palazzo reale e ricevette in regalo una piantagione di alberi del cacao di 6000 metri quadrati. L’albero del cacao era importantissimo per il popolo azteco ed il suo valore era tale da essere considerato un bene prezioso. Questo equivoco agevolò notevolmente la conquista di Cortés. Quando gli Aztechi si resero conto dello sbaglio, era troppo tardi e i tentativi di resistere furono vani: disgrazie e dure prove li accompagnarono fino alla scomparsa della loro civiltà. In realtà il primo a ricevere in dono i semi del cacao fu Cristoforo Colombo che fece scalo il 30 luglio del 1502 a Guanaja, un’isola dei Carabi. Scrisse nel suo diario di bordo “Un grande vascello indigeno con venticinque rematori venne al nostro cospetto, il loro capo, riparato sotto una tettoia ci offrì tessuti, begli oggetti di rame e mandorle che fungono da moneta con le quali preparano una bevanda.” L’incontro dell’Occidente con i semi di cacao si era appena consumato ma Cristoforo Colombo non capì l’importanza del regalo che aveva ricevuto. Portò i semi al re Ferdinando II di Aragona, che aveva finanziato la sua spedizione, e la cosa finì lì. Soltanto con la conquista della “Indie Occidentali” ad opera di Hernàn Cortés e dei suoi uomini si capì l’importanza dei semi di cacao e venne scoperto il cioccolato. All’inizio, gli indigeni, imitando scoiattoli e scimmie, mangiavano solo la polpa acidula e rinfrescante che racchiude i semi, scartando questi ultimi poiché troppo amari. Nessuno sa chi ebbe l’idea di fare fermentare e tostare i semi e schiacciarli al fine di ottenere una pasta che, mescolata alle spezie (peperoncino, pepe, cardamomo) veniva diluita nell’acqua e montata con una frusta per farla spumeggiare. Fu così che i conquistadores partiti alla ricerca dell’Eldorado scoprirono invece un “oro bruno” che li lasciò sconcertati. Inizialmente non apprezzarono né la struttura grassa né il gusto amaro della bevanda piccantissima tanto che Girolamo Benzoni dichiarò: “Questo miscuglio assomiglia più ad una pappa per i porci che ad una bevanda destinata agli uomini”, ma quando le riserve di vino furono esaurite, stanchi di bere acqua, cercarono di migliorare la ricetta azteca del cioccolato. Alcune religiose di Oaxaca ebbero l’idea di addolcire il gusto aggiungendovi zucchero di canna, vaniglia e fiore d’arancio. Il cioccolato diventò allora molto più accettabile, come riconobbe lo stesso Benzoni: “il suo gusto è amaro, ma disseta e rinfresca il corpo”. Cortès aveva portato i semi di cacao a Carlo V nel 1528. Tuttavia soltanto intorno al 1580 i conquistadores, che avevano tenuto per sé questo tesoro, si rassegnarono a spedire carichi di semi di cacao in Europa. Da quel momento, apparvero nella penisola iberica le prime cioccolaterie e, grazie agli scambi commerciali, alla curiosità dei viaggiatori e alle cerimonie reali, la cioccolata calda (bevanda aristocratica) si diffuse in tutta Europa. Nei porti mercantili delle Fiandre e dei Paesi Bassi (allora dominio di Filippo II di Spagna) scoprirono la dolce bevanda già alla fine del Cinquecento senza tuttavia conoscerne la ricetta, gelosamente custodita dagli spagnoli. All’inizio del Seicento, il missionario domenicano Thomas Gage racconta che i corsari olandesi, nel 1585, avevano intercettato una nave spagnola carica di semi di cacao e, non immaginando il valore del carico, gettarono tutta questa mercanzia in mare, chiamandola in cattivo spagnolo “cagaruta de carnero”, cioè “cacchine di capra”. Tuttavia, prima della fine del secolo, le navi della Compagnia Olandese delle Indie Orientali sbarcarono sui moli di Amsterdam carichi di semi, raccolti nella colonia del Suriname e alla fine del secolo XVIII, i mulini lungo il fiume Zaam, che macinavano i semi di senape, si convertono alla lavorazione dei semi di cacao, per alimentare una trentina di cioccolaterie artigianali. La ricetta del cioccolato da bere, nella sua versione più semplice usando cacao, zucchero, vaniglia e cannella, uscì dalla Spagna nel 1606 per merito del fiorentino Antonio Carletti, e i medici italiani la adottarono subito come ricostituente. Anche se il Papa Pio V lo trova disgustoso, il cioccolato si diffonde rapidamente in Italia e l’aristocrazia italiana, così come quella francese, sperimenta subito connubi più rari: cedro o limone, muschio o ambra grigia, e il gelsomino alla corte dei Medici. Antonio Ari è il primo cioccolatiere a commercializzare la bevanda a Torino, città che alla fine del Settecento diventa la capitale del cioccolato, fama che conserva ancora oggi.
…continua

>>parte 2

 

Antonella Simone
Compagnia del Cioccolato
Tavoletta della Spezia

Testo consultato:
Piccola Enciclopedia del Cioccolato Ed. Rizzoli

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